SOLO lun27, mar28 e mer29 ottobre al Multiplex delle Stelle
Intero €8 - Ridotto €6
Versione originale inglese sottotitolata in italiano
The Rocky Horror Picture Show è il film con la permanenza in sala più lunga nella storia del cinema: uscito nel 1975, ancora oggi non è stato ritirato dalla distribuzione, ma continua a essere un fenomeno di culto la cui forza evocativa a livello socioculturale e politico rimane fortissima e necessaria.
Quella del Rocky Horror è una storia lunga che, col passare del tempo, è diventata una storia collettiva che comprende milioni di persone nel mondo. Il fatto che ancora oggi sia qualcosa di estremamente attuale e coerente con i tempi che stiamo vivendo fa comprendere la portata visionaria della creatura pensata e realizzata da Richard O’Brien. Una creazione che deriva dalla necessità di dare voce e spazio a una parte della propria identità troppo a lungo rimasta nascosta e soffocata dalle costrizioni sociali.
O’Brien, reduce da un laboratorio di recitazione a Londra all’inizio degli anni Settanta, scrive compulsivamente il copione e le canzoni, propone il progetto a Jim Sharman – già regista teatrale di un’opera di successo come Jesus Christ Superstar – e il 16 giugno 1973 al Royal Court Theatre va in scena la prima rappresentazione di uno spettacolo che diventerà mito: un musical all’interno del quale una giovane coppia si ritrova dentro un castello spettrale dove Frank-N-Furter (Tim Curry) e tutti i suoi ospiti intonano canzoni rock e invitano alla liberazione di ogni vincolo sociale e all’accettazione totale del desiderio.
Frank-N-Furter è l’emblema di questo sentimento: un uomo meravigliosamente vestito da donna, con calze a rete, tacchi e corsetto. È l’invito al superamento del binarismo di genere e alla più libera espressione della sessualità, in ogni sua forma.
Lo show ha un immediato successo e inizia una serie infinita di repliche. Si sposta negli Stati Uniti e dopo il successo hollywoodiano nasce l’idea di farne un film. Mick Jagger, Lou Reed e David Bowie si dicono interessati a diventarne interpreti, ma la grandezza del Rocky Horror Show sta nel non aver mai tradito quel gruppo irripetibile che ha creato il progetto.
Tim Curry, Richard O’Brien, Brian Thompson come scenografo, Sue Blane come costumista e Sharman dietro la macchina da presa; si aggiungono solo Barry Bostwick e una giovane Susan Sarandon nei panni dei due giovani che si ritrovano catapultati dentro il microcosmo del castello.
Un’aggiunta perfettamente funzionale poiché amplifica la sensazione di stupore e iniziale straniamento dei due giovani attori dentro un universo pulsionale, eccessivo, rumoroso, libero. In un primo momento il film – un prodotto alieno e irripetibile realizzato con un basso budget e un’estetica che s’ispira ai B movies della Hammer – sembra essere un flop, poi i produttori capiscono di dover coinvolgere il pubblico giusto, che deve essere giovane e sentire il bisogno di trovare sullo schermo la strada verso la propria identità.
La pellicola rinasce quindi grazie a proiezioni notturne sempre più invase da chi trova rappresentata nel film la propria ribellione contro una società conservatrice, punitiva e moralistica. Infine, il cerchio si chiude e il film torna a essere teatro: le proiezioni cinematografiche diventano uno spazio libero dove si balla, si canta, si recitano in coro le battute e si crea uno spettacolo dentro lo spettacolo. Oggetti di scena, “cast ombra”, travestimenti: ogni proiezione del Rocky Horror si trasforma in un luogo in cui ognuno può essere la versione di sé stesso che desidera.